Posts tagged ‘comitato pro-erigendo scillesi d’america’

6 novembre 2011

Giù le mani dallo “Scillesi”

«Le rovine sono un dono. La distruzione è la via per la trasformazione». Questa frase di Elizabeth Gilbert descrive in maniera perfetta lo stato di fatto della sanità calabrese. Si è detto e scritto tanto sulle cause che ne hanno determinato lo sfascio e sul Piano di rientro che dovrebbe fare il miracolo.

Ma c’è un aspetto rimasto inesplorato che differenzia lo “Scillesi d’America” dagli altri ospedali: la sua proprietà. Il nosocomio, dalla sua genesi e fino a oggi, è un immobile dell’intera collettività scillese. Lo provano le carte!

La prima costruzione fu realizzata su un suolo che il Comune donò al “Comitato pro-erigendo Ospedale” nel 1952. L’amministrazione comunale all’epoca era guidata da Antonia Assunta Paladino e a rappresentare il comitato era il notaio Giuseppe Gioffrè. In seguito, il Comune avviò le procedure espropriative, occupando anche le aree attigue a quella originaria, per consentire l’ampliamento dell’ospedale nella conformazione attuale. I lavori furono ultimati nei primi anni 80.

L’area sulla quale sorge l’ospedale è stata individuata negli strumenti urbanistici, dal 1979 fino a ora, come area destinata ad attrezzature ed impianti di interesse generale, ma l’esproprio, pur se previsto sulla carta, ancora oggi non risulta concretizzato, per via di un contenzioso legale tra il Comune e alcuni dei proprietari dei terreni espropriati.

Di questa storia, la Regione non ne sa niente. E lo dimostra in maniera lampante.

Nel 1992, lo Stato ha riordinato la disciplina in materia sanitaria, prevedendo che «il patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è costituito da tutti i beni mobili e immobili a esse appartenenti, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità».

La Regione, con efficienza degna di uno stupido bradipo cieco, ha perciò proceduto al censimento di tutto il patrimonio immobiliare delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Regione, decretando il trasferimento dei beni che erano di proprietà dei comuni. Così, nel 2005 (dopo soli 13 anni!), ha trasferito all’ex Azienda Sanitaria n.11 di Reggio il fabbricato sede dello “Scillesi d’America”. Nella premessa del provvedimento, si legge: «Considerato che nel patrimonio del Comune di Scilla è compreso un immobile sede del p.o. “Scillesi d’America”, in quanto risultante con vincolo di destinazione all’Azienda medesima». Che tradotto significa che la Regione ha dato per scontato che il Comune di Scilla ne fosse il proprietario.

Tra i terreni compresi nel decreto, per un errore dattilografico, ve ne era però anche uno che con l’area dell’ospedale non aveva niente a che vedere, essendo ubicato niente di meno che a Ieracari! Per tale motivo, dopo poco meno di tre anni, l’atto viene rettificato con altro decreto.

Arriviamo al 9 maggio di quest’anno, quando il Commissario Straordinario dell’Azienda reggina si accorge che nelle carte c’è qualcosa che non quadra (vivaddio!) e invia una nota al dipartimento regionale, chiedendo la revoca del decreto di rettifica poiché «la procedura espropriativa avviata per l’acquisizione delle aree interessate alle opere non si è mai conclusa formalmente con l’emissione dell’atto definitivo d’esproprio» e dichiarando che «solo per mero errore materiale si è data comunicazione della titolarità dei suoli citati rispetto ai quali, ad oggi, alcuna proprietà può essere trasferita all’Asp di Reggio Calabria». Tra le tante negligenze addebitabili alle strutture amministrative della sanità calabrese, c’è anche quella di non sapere di cosa le stesse aziende sanitarie sono proprietarie e di cosa non lo siano!

Il 16 Settembre – cioé il giorno prima della visita a Scilla del governatore Scopelliti – è stato pubblicato il decreto di revoca dei precedenti del 2005 e del 2008.

La sostanza, alla fine di questa tragicomica fiera, è questa: i terreni e la sede dello “Scillesi d’America” sono di proprietà in parte del Comitato pro-erigendo ospedale e in parte dei proprietari che avrebbero dovuto essere espropriati. Questi ultimi, una volta definite le controversie legali, dovrebbero essere acquisiti definitivamente al patrimonio comunale.

Occorre dunque definire la questione irrisolta legata alla proprietà del nosocomio. Sarebbe opportuno chiudere i giudizi pendenti da tempo immemorabile anche con atti di conciliazione. Ma pur se il Comune procedesse alla definitiva acquisizione delle aree e quindi la Regione trasferisse la proprietà all’Asp di Reggio Calabria, rimarrebbe insoluto il nodo della proprietà legato alla parte di proprietà del Comitato pro-erigendo ospedale. Si potrebbe perciò pensare a moderne e nuove forme di gestione del presidio, quali per esempio la costituzione di una fondazione tra il Comitato (e tramite esso gli scillesi d’America), il Comune di Scilla e la Regione Calabria. La questione merita un serio e competente approfondimento giuridico, dopo decenni di colpevole disinteresse.

Intanto, però, il governatore Scopelliti ha deciso di non andare troppo per il sottile e di chiudere di fatto la struttura, decretando (ufficialmente dallo scorso 20 ottobre) un’emergenza sanitaria nella Costa Viola e in una larga fetta del territorio aspromontano. «L’ospedale di Scilla – ha affermato nel corso della conferenza stampa ospitata dal nosocomio – diventerà un presidio strategico, sia per i residenti che per i turisti, non appena realizzeremo 16 postazioni specialistiche». Cioè: l’ospedale non esiste più, in cambio vi diamo qualcosa di lontanamente simile. Meglio poco che niente affatto, ma che certezze ci sono? Quanto durerà quel “non appena”? Che tempi si prevedono, dalla dismissione alla riconversione? Quanto passerà prima che vengano attivate le nuove dotazioni promesse? Occorre fare chiarezza e dare garanzie a una popolazione in grande difficoltà.

A questa serie di incognite, si aggiunge un dato certo. Ce lo fornisce la Commissione parlamentare sugli errori e disavanzi sanitari, che nelle conclusioni scrive: «La commissione ha sempre

espresso l’orientamento unanime a considerare prioritaria, nell’invarianza dei costi, l’attenzione per la tutela del diritto alla salute dei cittadini, e quindi a finalizzare gli interventi del Piano di rientro, oltre che al doveroso recupero del disavanzo e al contenimento delle spese, anche al migliore utilizzo possibile delle strutture sanitarie esistenti. In questo senso la Commissione prende atto che è stato richiesto di valutare l’effettiva esigenza della chiusura di ospedali quali quelli di Scilla e Rogliano, nonché di alcuni ospedali di confine e situati in zone isolate e di montagna. Tale scelta è di esclusiva competenza della Regione Calabria».

Sta ora all’amministrazione comunale far pesare questa valutazione super partes in ogni modo e in ogni decisione che riguarderà il presidio. Il sindaco Caratozzolo, dopo aver ascoltato le promesse incantatrici del governatore, dovrà finalmente rompere ogni indugio e muoversi rapidamente su due fronti: definire e chiarire situazioni poco note ai capoccioni regionali e proporre soluzioni alternative utili al territorio; chiedere, verificare e pretendere il rispetto degli impegni presi da Scopelliti nei confronti di tutta la comunità scillese.

La recente delibera comunale, proposta dal gruppo di minoranza guidato da Pasquale Ciccone e approvata all’unanimità, lascia sperare che ci sia la necessaria unità d’intenti perché venga salvaguardata una struttura di estrema importanza sociale.

Le promesse del governatore, almeno per ora, rimangono dati espressi solo verbalmente ma dei maccheroni non si sente neanche l’odore! Perciò, l’amministrazione comunale dovrà abbandonare gli atteggiamenti ossequiosi messi in campo finora nei confronti dei “superiori in grado” ed essere capace di pilotare e non subire il destino dello “Scillesi d’America”, che per ora resta (nei documenti e nella realtà) una scatola desolatamente vuota. Tocca a noi scillesi cercare di riempire la nostra scatola e a nessun altro. Chi ha tempo, non aspetti tempo.

Francesco Rocco Picone

6 novembre 2011

Le origini di un dono d’amore

«Nel 1956 per munifica donazione degli Scillesi d’America, Edificato”. Questi i caratteri cubitali che furono inscritti sulla facciata, a perenne ricordo, per il “miracolo d’amore e di costanza” che era stato compiuto dagli scillesi d’oltreoceano. La nostra storia sullo “Scillesi d’America” ha inizio dal compimento della struttura che avrebbe ospitato il primo vero ospedale di Scilla. Anche se la perla del Tirreno un ospedale lo aveva già avuto: era stato fondato nella prima metà del ‘600, dalla principessa Giovanna Ruffo, donna pia e munifica, che volle donare agli scillesi «un asilo per i diseredati dalla sorte, di coloro che avevano vissuto con insipienza operando male e che, alla fine, impotenti e miserabili, bisognosi di tutto e privi di affetti, dovessero esservi accolti e assistiti dalla carità cristiana».

L’origine della nascita dello Scillesi d’America ebbe però ben altra motivazione: si era negli anni successivi al dopoguerra, anni di miseria e di rovine anche per la comunità scillese.

Una scena rimarrà impressa a due “scillesi d’america”, che stavano per far ritorno a New York: un giovane uomo scillese, bisognoso di urgente assistenza medica, riuscì dopo grandi difficoltà, ad essere trasportato all’ospedale di Reggio Calabria su un camion sgangherato. A quei tempi  a Scilla non vi erano mezzi di trasporto, tanto meno un’autoambulanza, non vi era neppure una sala di pronto soccorso: l’anno era il 1948; il giovane uomo era il dr. Rocco De Marco, sindaco di Scilla; i due “americani” che assistettero esterrefatti a quella scena pietosa erano Francesco Facciolà e Rocco Giordano. La notizia dell’improvvisa morte del primo cittadino di Scilla colpì molto l’intera comunità ed ancor di più coloro che lo conoscevano, si apprese dell’accaduto anche nelle comunità scillesi d’oltreoceano: lo stupore e la penosa meraviglia, la sorpresa e la preoccupazione che non ci fosse a Scilla un’autoambulanza per il trasporto dei malati risvegliò nei “figli della seconda Scilla” il desiderio e la determinazione che casi come quello accaduto non si ripetessero più.

Nel mese di novembre dello stesso anno al numero 162 di Mott Street a New York City riuscirono a riunirsi un gruppo di “scillesi americani” che ascoltarono attentamente la proposta di Facciolà e Giordano: iniziare una sottoscrizione per racimolare la somma necessaria per comprare un’autoambulanza per farne dono alla città di Scilla. Ma la decisione fu altra, con convinzione decisero di dare al loro paese d’origine qualcosa di più di un’autoambulanza, si intravedeva “la folle idea” di un’infermeria o di una piccola clinica, ma non senza coinvolgere nella decisione gli scillesi che risiedevano a Brooklyn, a Kew-Gardens, a Port-Chester, a White Plains, nel Westchester-Counthy, al Bronx: oltre sessanta americani oriundi di Scilla, Melia, Favazzina e Solano Superiore proseguirono nell’intento della Commissione di New York City.

Sin dai successivi incontri emerse la proposta di donare non già un’autoambulanza ma invece «un ospedaletto di dieci posti letto per uso di tutti i cittadini del Comune di Scilla, comprese le borgate di Melia, Favazzina e Solano Superiore, riservando due posti letto per i poveri abitanti del Comune» non molto lontana dalla seicentesca motivazione della principessa Ruffo: quindi un ospedale a Scilla! Era la mattina di domenica 6 febbraio 1949 ed il comitato promotore assunse il nome di “Scilla Community Hospital Fund Inc. Usa” mentre l’8 luglio 1949 nacque il primo consiglio direttivo scillese con il nome di “Comitato pro Erigendo Ospedale in Scilla”. Nel biennio 1949-50 i modi usati per la raccolta dei fondi videro svariati sistemi, dall’organizzazione di “carnivals” a banchetti di beneficienza, dalla riffe alle collette, dalle sottoscrizioni alle lotterie: ogni mezzo era utile pur di raggiungere lo scopo. Nel mentre in Italia l’iter  per la costituzione in Ente Morale faceva la sua lenta strada, con atto notarile, stipulato il 4 aprile 1952, il Comune di Scilla consacrava la cessione del suolo destinata per la costruzione dell’ospedale; il 9 aprile lo “Scilla Community” inviò 20 milioni di lire, sufficienti per la costruzione di un ospedale progettato dall’architetto Bagalà; il 22 maggio 1952 vi fu la posa della prima pietra.

Rispetto alla somma preventivata, le ditte Gioffrè di Messina e Imbesi di Favazzina, che accettarono l’incarico, pretesero un 30% di aumento. Era necessario continuare a raccogliere fondi per arrivare alla desiderata meta: fu così che il 22 ottobre 1955, con l’invio del controvalore necessario, e dopo appena un anno, l’edificio era pronto ad accogliere l’occorrente per attrezzare la struttura e il 5 ottobre 1956 furono consegnate al sindaco le chiavi dell’eretto ospedale. Seguirono anni difficili per avviare l’attività sanitaria e per raccogliere i fondi necessari per le attrezzature, mentre il Comitato Amministrativo costituiva con atto pubblico l’Ente Ospedaliero, consacrando la denominazione di “Ospedale Scillesi d’America” e provvedendo a rendere funzionale il nuovo Ente dando l’incarico alle Suore del Volto Santo di presiedere ai lavori di cucina, lavanderia e pulizia. Il 10 settembre 1961 finalmente l’inaugurazione ufficiale, mentre il 23 settembre 1964 l’ospedale venne elevato a “Ente Morale”. Da qui in poi, l’ospedale si rivolse al Governo Italiano per ottenere i necessari finanziamenti per la costruzione del nuovo padiglione con progetto approvato già nel 1966.

Nel ’71 l’ospedale di Scilla veniva dichiarato “Ente Ospedaliero” e successivamente “Ospedale di zona”. Arriviamo dunque alla storia più recente, con  la nascita del Servizio Sanitario Regionale, istituito con la legge regionale n.18 del 2 giugno 1980 e l’ospedale “Scillesi d’America” diventa il prezioso riferimento dei comuni appartenenti all’Unità Sanitaria Locale n.29. Usl abrogata poi nel 1996 con le norme sul riordino del servizio sanitario regionale che portarono l’Ospedale in dote prima all’Asl 11 di Reggio Calabria e poi, fino ai giorni nostri, all’attuale Asp 5.

Il senatore dello Stato di New York, che ho avuto l’onore di conoscere personalmente nel ’92, Antony B. Gioffrè, presidente dello “Scilla Community Hospital Fun, Inc., Usa”   disse del nosocomio: «Alcuni seppero subito quale fosse la via da seguire. Pochi la portarono a compimento. Oggi possiamo dire: è stata opera nostra». Mi piace anche pensare di non dare mai appuntamento a nessuno, nemmeno al nostro peggior nemico, augurandogli in dialetto scillese “Chi ‘mmi ti viru ‘nta porta ru spitali”… E’ viva la speranza che l’ospedale “Scillesi d’America”, punto di riferimento di un’intera comunità, rimanga “opera nostra” donata dai nostri padri, per noi e per i nostri figli, per un intero territorio: pronto, attrezzato, funzionale e operativo ad accogliere tutti, qualunque sia l’estrazione sociale, nel perenne ricordo di quel triste e penoso “camion sgangherato” non più necessario all’uso.

Filippo Teramo